In questo blog In nome del Rock parlerò degli artisti le cui canzoni, le cui emozioni e idee hanno interagito con forme e colori nella mia mente e mi hanno spinta a creare oggetti che portino la loro impronta.
Parlerò inoltre delle mie esperienze musicali, in particolare dei concerti che più mi hanno colpita: questo perché la potenza e la suggestione degli strumenti, la compattezza dei musicisti e l’emozione che trasmettono sono particolarmente coinvolgenti dal vivo.
Tramite la mia interpretazione, i mobili che realizzo rendono tattili e visibili le risonanze musicali sperimentate, in nome del Rock.
Nella mia infanzia risuonano canti e balli kanak della Nuova-Caledonia, poi fra i Beach Boys, Elvis Presley, Simon & Garfunkel, spicca Leonard Cohen. La sua malinconia mi ha segnata e ha arricchito le fantasie, esprimendo quello che a una bambina rimane difficile esteriorizzare.
Dopo arrivano i Doors, i Rolling Stones, il blues, i Pink Floyd e i Velvet Underground. Nello stesso momento sentivo musica classica a casa alla quale, nonostante le lezioni di pianoforte, non mi sono affezionata. La trovo autoreferenziale perché, secondo me, l’espressione dell’interiorità del musicista passa in secondo piano rispetto all’esibizione tecnica. Mi sono riconciliata con il suono del pianoforte ascoltando Nick Cave, con il violino grazie a quello suonato da Warren Ellis nei Dirty Three poi con Nick Cave.
L’essere groupie non è stata una mia esperienza ma queste donne sono parte di un desiderio di emancipazione e di cambio dei cannoni sociali, hanno contribuito con le altre donne spettatrici dei concerti alla diffusione e al successo del rock, come riferito da Keith Richards nella sua autobiografia, Life.
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